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IL CASO MARGHERA - BOMBA CHIMICA AL FOSGENE

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2013 21:33
03/05/2006 14:27
 
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Petrolchimico: "Un incidente ogni 10 milioni d'anni"

Da: "Gente Veneta" , no.16 del 24 Aprile 2006
www.gvonline.it/leggi_id.php?id=2605

Il rischio chimico: una materia molto sentita e di cui spesso si parla; che nella nostra zona è diventata quasi il simbolo del convivere con un'area a rischio. Per il cittadino termini quali rischio, pericolo, danno sono quasi sinonimi. Risulta infatti difficile spiegarne le differenze, indispensabili tuttavia per caratterizzare correttamente una situazione complessa che vede una realtà produttiva unita e intimamente connessa ad un contesto culturale e ambientale unico e collegata ad un'area densamente popolata.
Per tentare una mediazione di comunicazione dal linguaggio dei tecnici, potremmo dire che il pericolo rappresenta la potenzialità intrinseca associata ad una attività; il rischio rappresenta la probabilità che avvenga un determinato evento dannoso; il danno rappresenta la gravità dell'evento considerato.
Dal pericolo al rischio. Prendiamo il fosgene: comunemente possiamo dire che il pericolo è alto, altissimo, mentre il rischio, che dipende dalle modalità operative e dalle sicurezze introdotte, risulta basso. Il punto, spiega Loris Tomiato, dirigente del Servizio Rischio industriale e Bonifiche dell'Arpav, sta proprio nella probabilità che un evento accada. E quindi nel passaggio dal concetto di pericolo a quello di rischio.
«A Marghera, pur essendo in presenza di attività che coinvolgono sostanze pericolose, esiste uno sfasamento tra il rischio percepito ed il rischio reale», spiega l'ing. Tomiato. «Inoltre va specificato che vi sono due diverse tipologie di rischio da considerare: il rischio acuto, ovvero la possibilità, ancorché remota, di un evento incidentale di grave entità che abbia ripercussioni immediate sull'uomo, ed il rischio cronico, ovvero la possibilità che lievi emissioni, anche del passato, possano in tempi lunghi avere un effetto sull'uomo e sull'ambiente».
Prevenzione e protezione. Oggi la percezione della popolazione nei riguardi della presenza delle industrie risente della storia particolare che abbiamo vissuto negli ultimi 50 anni, delle conoscenze tecniche e delle informazioni ricevute incrociando sensibilità collettive con il vissuto personale. «In realtà, per considerare in maniera corretta i rischi cui la popolazione è soggetta per la presenza di impianti chimici, vanno valutati i due aspetti principali che caratterizzano la diminuzione del rischio: la prevenzione e la protezione», sintetizza il tecnico dell'Arpav.
Una volta ogni 10 milioni di anni. La prevenzione si basa sul continuo miglioramento tecnologico, sulla manutenzione degli impianti e sulla corretta gestione degli stessi, al fine di evitare l'accadimento di un incidente. (la probabilità di accadimento di un determinato evento). «Il centro urbano di Marghera, ad esempio, rientra in un'area in cui il rischio associato di letalità è inferiore all'ordine di grandezza di 10 alla meno 7, ovvero la frequenza stimata di un tale evento è inferiore ad una volta ogni dieci milioni di anni», nota Tomiato. Scenari di questo tipo non vengono neppure studiati dalla Protezione civile, perché ritenuti così remoti da essere poco credibili.
La protezione d'altro canto si realizza cercando di contenere e diminuire le aree di impatto di un evento: si possono cercare di diminuire le quantità di sostanza pericolose coinvolte o di arretrare le installazioni e di far assumere comportamenti corretti in caso di eventi incidentali nell'intorno delle aree interessate. A questo mirano le corrette attuazioni del Piano di Emergenza Esterno e la corretta informazione alla popolazione.
Rischio fosgene entro la zona industriale. Qual è la rappresentazione del rischio? Come si fanno questi conti? Per rendere agevole la visualizzazione di questi concetti il rischio viene comunemente rappresentato attraverso mappe che descrivono le diverse aree interessate da eventi, associando agli stessi un indicazione della probabilità di accadimento. E' sulla base di queste considerazioni che l'ing. Tomiato ritiene che, se si parla di rischio in riferimento al fosgene, questo se riferito alla letalità e ad eventi credibili sia contenuto all'interno del perimetro dell'area industriale. Per quanto riguarda il fosgene infatti, la distanza tra gli impianti e le prime zone abitate di Malcontenta è di circa 3-4 km.
La situazione è governata? Ma allora, alla vigilia di un sondaggio, se non di un referendum, sulla chimica del cloro a Porto Marghera, quanto alto è il rischio di questi impianti per il territorio? Per l'ing. Tomiato la domanda da porsi è: l'insieme degli attori pubblici e privati mettono il cittadino di Malcontenta o quello di Mestre nelle condizioni di ritenere governata e sostenibile la situazione di Porto Marghera? «Discende infatti dall'idea di territorio e dalla politica industriale la ricerca di un equilibrio, se possibile. Perché altrimenti il problema che oggi può essere percepito sul fosgene, domani potrebbe essere l'ammoniaca, poi l'acetoncianidrina, poi l'acrilonitrile, agendo sempre sulla sensibilità senza governare il tema».
Aziende più mature. Da parte sua l'ing. Tomiato ritiene che le aziende nel tempo siano maturate: «La cultura della sicurezza, in quest'area, è ormai più sviluppata che altrove. Ma comunque la tensione sul tema dell'affidabilità delle installazioni e dei controlli conseguenti deve essere tenuta alta». Gli impianti sono normalmente ben tenuti, ma il sistema deve essere in grado di migliorare continuamente, con particolare riferimento alle interconnessioni nate diverse anni fa. Tanto più nell'ottica della frantumazione delle proprietà degli impianti: se un tempo infatti il Petrolchimico stava tutto sotto uno stesso marchio, una stessa proprietà, la mutata politica industriale di Enichem ha portato a una frammentazione degli impianti con conseguente frammentazione di responsabilità cui non può solamente supplire il pubblico.
Semplificare le competenze. E anche nel campo del pubblico forse servirebbe una semplificazione delle competenze. «In Italia - spiega Tomiato - il controllo pubblico non è certo in una condizione di subalternità rispetto, ad esempio, alle realtà francese e tedesca. Ma gli attori pubblici sono molteplici: la Prefettura, il Comune, la Regione, la Provincia hanno ognuno delle competenze; poi ci sono i Vigili del Fuoco, lo Spisal, l'Arpav, l'Ispesl...».
E le aziende? Per il tecnico hanno bisogno di sicurezze, unica condizione per indurle a continuare nell'opera di manutenzione e riammodernamento degli impianti, imprescindibile per il loro permanenza nell'area.
Paolo Fusco
Malandrine Girls
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